La volatilità delle borse nell’ultimo periodo ha portato molti analisti a cercare le cause nel prezzo delle materie prime, in special modo il prezzo del petrolio, particolarmente basso. Ad un occhio inesperto questa logica non ha molto senso. Come può una materia prima influenzare e deprimere il mercato azionario? E poi, ma una petrolio ai minimi non dovrebbe portare ad una bolletta energetica meno pesante e quindi favorire i conti economici delle società? Quale è la logica che muove tutto questo? Proviamo a capirlo.
Effetti positivi di un prezzo basso rispetto alla media del periodo.
Di solito il petrolio a basso prezzo ha effetti estremamente positivi per la società, tranne ovviamente che per le compagnie petrolifere. Porta ad esempio maggiori utili alle imprese dati i minori costi per energia e materie prime. Anche per i privati il saldo è positivo dati i risparmi sui costi del carburante e per il riscaldamento delle case. Sostiene i paese “energivori” e con poche risorse a disposizione (come l’Italia), tiene sotto controllo l’inflazione.
Perché spaventa le borse?
Un rapporto di Citigroup prevede una “spirale della morte” innescata da più fenomeni collegati. Il dollaro forte, i prezzi elle materie prime troppo bassi, il rallentamento dei paesi emergenti (l’economia cinese in frenata e quella brasiliana in recessione) e un rallentamento dei flussi di capitali e merci che porterà ad un “Oilmageddon”, una significativa e sincronizzata recessione globale e un mercato orso (fortemente ribassista). Ma perché il prezzo del petrolio? Perché colpisce gli utili delle società energetiche, in primis quelle americane e quelle attive nell’estrazione dello shale oil (il petrolio prodotto dai frammenti di rocce di scisto bituminoso). Con un prezzo così basso non è più conveniente produrlo. Il prezzo basso ha messo a rischio default molte di queste società. Penalizza il comparto bancario, soprattutto le società che sono esposte verso le compagnie petrolifere. Incide sui fondi sovrani e quindi sugli investimenti di molti paesi produttori. Mette in crisi i paesi che basano la propria economia sul petrolio come Venezuela, Nigeria, Arabia Saudita o in cui ha grande importanza come Canada e Russia.
Come si può risolvere? Dove si può agire?
Il punto è che i prezzi sono bassi perché c’è un offerta spropositata rispetto alla domanda. I paesi dell’ Opec non vogliono tagliare la produzione. Molti vedono questa come un attacco alle compagnie di Shale oil americane. Il problema quindi più che economico è essenzialmente geopolitico. Anche la green economy risente di questa situazione. Più sono bassi i prezzi e meno conveniente è l’installazione di prodotti e processi che rendano più efficiente e meno dipendente da fonti fossili l’economia e la struttura delle nazioni. Finché ci sarà la sovrapproduzione il problema continuerà ad agitare i mercati. Ma la soluzione non va ricercata nell’economia quanto nelle strategie geopolitiche dei grandi paesi produttori di petrolio.